Storia del gatto
Il gatto domestico viene oggi classificato dal punto di vista sistematico come Felis Silvestris Catus e si pensa che discenda, per processo di domesticazione operato dall’uomo, dalla specie Felis Silvestris Libica.
Il processo di domesticazione è molto più recente di quello del cane, si ritiene risalga alla civiltà egizia, non più di 6/7 mila anni fa quindi, e nel corso dei secoli ha vissuto momenti più o meno felici (deificato dagli egizi, demonizzato dalla chiesa nel medioevo).
Anche nel gatto il processo di domesticazione ha comportato cambiamenti rispetto al suo antenato F.S.Libica, anche se probabilmente inferiori a quelli subiti dagli altri mammiferi domestici:
- Modificazione dell’assetto ormonale
- Neotenia, cioè persistenza di alcune caratteristiche infantili nell’adulto.
- Prolificità : il gatto selvatico partorisce una sola volta l’anno ed un numero ridotto di piccoli, generalmente tre, il F.S.Catus ha tre/quattro calori all’anno e partorisce una media di cinque piccoli ogni volta.
La neotenia è molto meno evidente nei gatti rispetto ai cani, per esempio schemi di comportamento predatorio compaiono in età precoce nei gattini e vengono utilizzati in maniera considerevole dall’animale adulto, invece in molte razze di cani la sequenza predatoria risulta incompleta (l’uomo ha infatti evidenziato nelle varie razze canine quei comportamenti che più gli tornavano utili, ottenendo così razze da guardia, da difesa, da caccia, da pastore e così via).
Il gatto domestico, F.S. Catus che definiamo randagio o selvatico, non va confuso con il gatto selvatico vero e proprio F.S. Silvestris.
Alcuni fossili attestano la presenza del gatto in tempi antichissimi. Ossa di gatto risalenti a 10.000 anni fa, per esempio, sono state ritrovate assieme a quelle di altri animali in una grotta sui monti Sandia, nel Nuovo Messico. Reperti archeologici di 8.000 anni fa, venuti alla luce nell’Anatolia sud-occidentale, ci dimostrano che a quell’epoca tra l’uomo e il gatto vi era già una sorta di relazione. La paleontologia, tuttavia, può accertare la presenza di un animale in un certo periodo, ma non aiuta a stabilire quando è iniziata la sua domesticazione.
Alcuni naturalisti, in tempi passati, hanno dato per scontato che il gatto domestico (Felis catus) fosse un discendente selvatico di quello europeo (Felis sylvestris), mentre altri sostengono che la natura di quest’ultimo, come quella dei grandi felini, è totalmente selvatica: secondo tale teoria, quindi, questo animale non può aver accettato alcuna ingerenza dell’uomo.
Questo gatto vive tuttora nelle foreste e nelle macchie di molti paesi; si nutre di piccoli roditori, di uccelli, di lepri, di serpi e anche di insetti e limita la sua presenza solamente all’habitat che gli consente di trovare queste prede.
Secondo la tesi di altri naturalisti ed etologi, il gatto selvatico africano (Felis lybica) al contrario, una specie che accetta la presenza umana, si avvicina ai centri abitati e sfrutta varie fonti alimentari, inclusi gli avanzi dell’uomo. E’ molto più probabile, quindi, che gli esseri umani in passato ne abbiano avvicinato e allevato i cuccioli e che da questi si siano via via evolute delle specie intermedie, che a loro volta hanno dato origine al nostro gatto domestico. E le cause che hanno condotto a tale domesticazione sono ancora incerte. Non necessariamente vi deve essere stato un motivo utilitaristico: forse sono stati solo il desiderio proprio dell’uomo di avvicinarsi agli animali selvatici e la grazia dei piccoli felini a giocare un ruolo importante.
Un’ipotesi da prendere in considerazione è quella della domesticazione finalizzata all’eliminazione dei roditori. In questo caso, però non sarebbe possibile risalire a più di 4.000 anni a.C., solo in quel periodo, infatti, l’agricoltura cominciò a svilupparsi in modo consistente ponendo il problema della salvaguardia delle granaglie. Un topo adulto mangia circa 4 grammi di cibo al giorno (un ratto nero 115 gr), ma ne deteriora da cinque a dieci volte di più con le deiezioni solide e l’urina. Un topo può danneggiare fino a 15 Kg di cibo l’anno (un ratto fino a 453 Kg). I gatti domestici, ben nutriti, uccidono non più di 14 piccole prede annualmente.
I gatti liberi uccidono quotidianamente, per sopravvivere, circa tre piccoli mammiferi, per lo più roditori, per un totale di 1100 animali l’anno e grazie a queste straordinarie capacità predatorie, ciascun gatto è potenzialmente in grado di salvare 225 tonnellate di grano all’anno!!
L’ingresso del gatto nella storia è databile in base a testimonianze iconografiche egizie (3000 a.C.), ma i motivi per i quali l’antico popolo egizio passò dal rispetto per l’animale che proteggeva i granai a una vera e propria divinizzazione di esso, sfumano in quell’alone vagamente misterioso che ha sempre circondato questa straordinaria creatura. I numerosissimi monumenti egizi che lo raffigurano, le iscrizioni e le mummie di gatto che sono state ritrovate, ci confermano la venerazione tributata a questo animale, sia nella sua forma naturale sia nella sua personificazione: spesso infatti si trova rappresentato nella forma di un uomo con testa felina.
Sappiamo che il culto della Dea Bastet, divinità dalle sembianze di gatta, sempre raffigurata con il sistro, simbolo dell’armonia del mondo, era praticato già nel 3000 a.C., poiché il suo più antico simulacro è stato trovato nei pressi di Tebe, in un tempio della quinta dinastia. Bastet, o Bast, era la Dea della fertilità, questi aspetti della vita umana, originariamente, erano sotto la protezione di Iside, la dea della luna.Il culto del gatto raggiunse il suo apogeo nel 950 a.C., quando si arrivò a condannare alla pena capitale chiunque ne causasse, anche accidentalmente, la morte.
I gatti venivano chiamati Mau o Mieou, parola onomatopeica che ricorda il miagolio, ma che indica anche la luce: il gatto, infatti, grazie agli occhi che splendono anche al buio, era il simbolo della luce sacra. Non vi era casa egiziana che non ospitasse dei gatti; ad essi venivano consacrati anche i figli, che per tutta la vita dovevano portare un medaglione con l’effige felina. Se un gatto moriva, la sua morte era ragione di grande cordoglio nella casa: i familiari si rasavano le sopraciglia in segno di lutto. Il piccolo corpo veniva imbalsamato e solitamente trasportato a Bubaste, città consacrata ai gatti e meta di pellegrinaggi durante le feste celebrate in loro onore. Alla fine del secolo scorso sono state trovate in diverse località come Bubaste e Teben Beni-Hassn, necropoli di gatti con centinaia di migliaia di piccole mummie. Alcune di queste erano avvolte in bende colorate, sulle quali era stato accuratamente disegnato il muso, completo di occhi, naso e baffi. Dai dipinti e dalle sculture, ma ancora più le mummie ritrovate, si nota chiaramente che già esistevano due tipi di gatto: uno dalle orecchie piccole e muso arrotondato, l’altro con orecchie più lunghe e e muso allungato. Entrambi avevano il pelo corto, rossiccio con macchie e striature nere. La fama dell’abilità dei gatti nella caccia ai topi si era sparsa ovunque e, nonostante le severissime pene previste per chi tentava di trafugare un gatto dall’Egitto, si creò un vero e proprio traffico clandestino ad opera di mercanti con pochi scrupoli, che riuscirono a portare gatti in ogni parte del mondo conosciuto.
Anche i Romani, che in precedenza avevano utilizzato la faina per la caccia ai topi, vollero avere il prezioso animale. Ai soldati che avevano prestato servizio in Egitto era permesso, a titolo personale e a proprio rischio e pericolo, di portare clandestinamente un gatto in patria. Le navi mercantili che percorrevano il Mediterraneo, furono un altro veicolo per la diffusione del gatto, che trovò un habitat adatto anche nelle isole; in Sardegna o nelle Baleari si sono però perse le tracce di questi lontani antenati, mentre in Corsica e nelle montagne scozzesi vi sono ancora oggi gatti selvatici che presentano una morfologia identica a quella dell’antico gatto africano.
Il gatto, trasportato da una nave fenicia o nascosto nella sacca di un centurione romano, quindi giunse ovunque, diffondendosi in tutti i Paesi del mondo. Caduto dagli altari, talvolta vittima sacrificale di antichi culti messi al bando dall’affermarsi del cristianesimo, ha superato persecuzione ed ignoranza, guerre e pestilenze. Attraverso i secoli, adattandosi a tutte le condizioni ambientali, si è diversificato nella struttura del corpo e della testa, nel mantello, nel colore degli occhi, tuttavia è rimasto forte e uguale a se stesso. In termini zoologici si denomina “razza” un gruppo di individui della stessa specie che presentano un complesso di caratteri morfologici e fisiologici comuni o simili, trasmissibili per ereditarietà. Alla base delle razze feline vi sono, ovviamente, processi di selezione artificiale; inoltre alcune si differenziano solamente per una singola mutazione. In termini rigorosamente scientifici non sarebbe quindi corretto chiamarle “razze”, perché sono geneticamente troppo vicine.